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A Tavola! L'offerta enogastronomica tra l'Astico e il Brenta - OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA

OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA

A Tavola! L'offerta enogastronomica tra l'Astico e il Brenta - OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA

In questa guida turistica, Erasmo Gastaldello ha curato il capitolo dedicato ai prodotti alimentari locali. Prima edizione, aprile 1994. Curatore della guida, Valerio Belotti.


L'albero dal cui frutto si ricava questo prezioso alimento è l'olivo, pianta del genere Olea, nel nostro caso Olea europaea, che si presenta in due sottospecie: Olea europaea oleaster, od olivo selvatico, usato di rado e solo per innesto, e Olea europaea L., chiamata anche Olea europaea sativa, meglio conosciuta come olivo coltivato o olivo domestico.
Quest'ultimo è un albero alto mediamente da 4 a 10 metri, con rami lisci e foglie sempreverdi lanceolate.
I fiori, di colore bianco, sono riuniti in piccole infiorescenze a forma di pannocchia, dette mignole; sono fiori ermafroditi - formati cioè da una parte maschile e una femminile - ma non sempre sono in grado di autofecondarsi. Infatti, è necessario piantare almeno un olivo impollinatore ogni venti altri, per lasciare poi al vento il compito di impollinare. Il frutto, chiamato drupa in gergo botanico, si presenta con forma prevalentemente ovoidale allungata, verde se crudo, da violaceo a nero lucido (dipende dalle varietà) una volta maturo. E' formato da una epidermide, l'epicarpo, una parte carnosa, il mesocarpo, che contiene l'olio, e dal nocciolo, l'endocarpo, legnoso e contenente il seme.
L'olivo è una pianta molto longeva, esistono, ancora in vita, esemplari che hanno superato i mille anni tra cui l'olivo "di Platone" ad Atene, o l'olivo detto "albero della spada" che si trova a Tivoli, o ancora quello "della strega" a Magliano, in provincia di Grosseto, che misura dieci metri di circonferenza.
Ciò è possibile grazie alla cosiddetta ceppaia, posta alla base dell'albero e dalla quale si diramano le radici, che ha la capacità di emettere nuovi germogli che possono rigenerare la pianta in caso di danneggiamento irreparabile del tronco. Inoltre, sulla ceppaia si formano i preziosi "ovoli", escrescenze che, se asportate, possono dare vita ad un nuovo olivo.

La coltivazione più antica dell'olivo Olea europaea viene attribuita ai popoli semitocamitici stanziati sui monti a sud del Caucaso, nell'altopiano iranico, nelle coste della Siria e della Palestina. Da qui, la coltura si sarebbe poi estesa in Egitto e, successivamente, grazie a Fenici, Ebrei ed Egiziani, nelle isole greche. Già nel 2500 A.C. un'apposita legge del codice babilonese di Hammurabi regolava il commercio dell'olio di oliva.
Nel Mediterraneo, l'olivo trovò il suo clima ideale e si estese a tal punto da diventarne il suo simbolo, oltre che l'albero più fruttifero. In Italia si diffuse prevalentemente al Sud, mentre nel settentrione arrivò, molto probabilmente, in epoca romana.
Nel Veneto, le notizie riguardanti la coltura dell'olivo, diventano più numerose a partire soprattutto dall'XI secolo. Documenti dell'epoca accennano alla produzione di olio di oliva soprattutto nella riviera veronese del Lago di Garda, nei colli veronesi e in quelli vicentini, con particolare importanza alla fascia prealpina che va da Thiene a Bassano del Grappa. Con il successivo intensificarsi dei commerci, invece, la stentata olivicoltura padana cominciò a regredire o, più esattamente, a concentrarsi nelle zone più adatte. Tra queste, per fattori climatici e tipologia del terreno, incominciarono ad imporsi la zona di Angarano (territorio ovest di Bassano), dove l'olivo si trova citato in un atto di compravendita agricola del 1131, e Pove, dove l'olivo è nominato in un inventario delle proprietà degli Ezzelini datato 1263.

Si potrebbe, a questo punto, continuare a scrivere della storia, dell'uso nel rito religioso, della divinità, dell'utilizzo nell'antica gastronomia, dei reperti archeologici dell'olio di oliva e, specialmente, dell'importanza di questo straordinario alimento nell'alimentazione odierna, ma limiti di spazio e di tempo non ci permettono di approfondire tali argomenti in questa sede. L'augurio è di riuscire a farlo in una prossima occasione.
L'olio di oliva - il cui nome deriva dal greco élaion, da cui il latino oleum -, viene prodotto tramite un processo molto laborioso e dal quale dipende l'esito qualitativo.
In primo luogo, il punto di maturazione ed il metodo di raccolta delle olive. Il punto di maturazione ottimale è quello chiamato di semi-invaiatura o di invaiatura, quando la polpa è ancora chiara. Una maturazione più avanzata offrirebbe senza dubbio una maggiore resa, alla quale, spesso però, corrisponde anche un olio considerato meno pregiato.
La raccolta manuale è senz'altro la migliore perché permette di scegliere - "brucare" o "cernire" - soltanto le olive al giusto punto di maturazione. Purtroppo però, questo tipo di operazione ha dei costi di manodopera molto elevati e rimane un privilegio diffuso oramai solamente tra quei produttori che vogliono ottenere un olio di altissima qualità.
Importantissimi sono, poi, il tempo che intercorre tra la raccolta delle olive e la loro frangitura, che deve essere il più breve possibile, e il lavaggio immediatamente precedente la frangitura, che, se ben eseguito, permette l'eliminazione delle foglie e dei ramoscelli, che non potrebbero che agire negativamente sulla buona riuscita dell'olio.
Con la frangitura si frantumano polpa e noccioli. Questi ultimi risultano importanti come materiale drenante, in quanto, con i loro frammenti facilitano la separazione della parte liquida della pasta da quella solida, detta sansa, durante il successivo processo di rimescolamento chiamato gramolatura.
A questo punto, la pasta di olive ottenuta è pronta per l'estrazione che permette di dividere le sue tre componenti: l'olio, la sansa e la parte acquosa, detta acqua di vegetazione.
L'estrazione si può eseguire tramite pressione o centrifugazione, ma soprattutto "a freddo" o "a caldo".
Il metodo "a freddo" riguarda sempre oli con elevate caratteristiche qualitative; in questo caso l'olio si estrae mediante una leggerissima pressione, o centrifugazione, che permette di prelevare soltanto la parte più nobile della polpa e senza riscaldarla. Con questo metodo, la resa è di 12-18 litri di extravergine ogni 100 Kg. di olive.
Il metodo "a caldo" invece, necessita di forti pressioni, o centrifugazioni, e, in alcuni casi, addirittura di aggiunta di acqua calda alla pasta di olive. Questo metodo permette di "scavare a fondo", aumentando sensibilmente la resa, ma altera notevolmente il prodotto base, elevandone soprattutto l'acidità.
Anche nel caso dell'olio di oliva, dunque, vale la regola "meno quantità - più qualità".
Operazione finale è la chiarificazione tramite travasi o separatori centrifughi, che consente all'olio estratto di essere liberato dai residui estranei e dall'acqua rimasta. Dopo la chiarificazione non ci si deve aspettare di vedere un olio necessariamente limpido; gli oli migliori hanno la caratteristica di rimanere leggermente opachi ed ambrati, mentre gli oli acidi e di cattiva qualità diventano più limpidi e brillanti.

Dalla stessa materia prima, quindi, si ottengono risultati finali enormemente diversi. La legge n° 1407 del 23 novembre 1960 ha stabilito le seguenti denominazioni di prodotto:
OLIO EXTRA VERGINE D'OLIVA: denominazione riservata all'olio che non abbia subito manipolazioni chimiche, ma soltanto il lavaggio, la sedimentazione e la filtrazione* e che contenga non più dell'1% in peso di acidità espressa come acido oleico, senza tolleranza alcuna; alla denominazione di olio extra vergine di oliva può essere aggiunta l'indicazione della provenienza.
OLIO SOPRAFFINO VERGINE DI OLIVA: quanto sopra tra gli asterischi, e che contenga non più dell'1,5% di acidità
OLIO FINO VERGINE DI OLIVA: quanto sopra tra gli asterischi, e che contenga non più del 3% di acidità.
OLIO VERGINE DI OLIVA: quanto sopra tra gli asterischi, e che contenga non più del 4% di acidità, limite massimo acconsentito dalla legge perché l'olio di oliva possa essere commestibile.
OLIO DI OLIVA RETTIFICATO: denominazione riservata al prodotto ottenuto da olio lampante reso commestibile con il processo degli alcali o con processi fisici.
OLIO DI SANSA RETTIFICATO: denominazione riservata al prodotto ottenuto con olio estratto con solventi dalla sansa di oliva e da olio lavato reso commestibile. Quest'olio, assieme al precedente, non deve contenere tracce delle sostanze chimiche adoperate e deve avere non più dello 0,5% di acidità.
OLIO D' OLIVA: denominazione riservata al prodotto ottenuto dalla miscela di oli d'oliva vergini con olio d'oliva rettificato, purché non contenga più del 2% di acidità.
OLIO DI SANSA E DI OLIVA: denominazione riservata al prodotto ottenuto dalla miscela di olio di sansa di oliva rettificato con oli d'oliva vergini, purché non contenga più del 3% di acidità.
Oltre al grado di acidità, che deve essere il più basso possibile, altri fattori non devono essere sottovalutati, quali il numero di perossidi, che indicano il grado di ossidazione dell'olio (la legge prevede un valore massimo di 20); l'esame spettrofotometrico, che rileva la presenza di oli raffinati e di sostanze ossidate; la percentuale di polifenoli, componenti aromatici e antiossidanti non ancora considerati dalla legge.

La denominazione non è, quindi, sempre sinonimo di assenza di difetti. In moltissimi casi si miscelano oli italiani con oli stranieri, provenienti per lo più dalla Spagna, dalla Tunisia, dall'Algeria, ecc..., che rientrano nella categoria degli extravergini per quanto riguarda il grado di acidità, ma hanno profumo e sapore talmente sgradevoli da non risultare nemmeno commestibili. Tramite astuti procedimenti, questi oli vengono deodorizzati ed importati in Italia "offrendo il vantaggio" del bassissimo costo, a cui segue un altissimo guadagno, creando effetti sicuramente negativi sulla nostra salute e generando un'enorme confusione di prezzi negli scaffali di vendita.
Non è certamente un caso se l'Ispettorato Repressione e Frodi continua ad avere al primo posto nei sequestri il settore oli. Nel 1992, uno di questi sequestri ha permesso di scoprire come un olio, spacciato per extravergine (di una marca sconosciuta) e venduto a bassissimo prezzo, fosse in realtà olio di colza (= seme di cavolo, il cui olio è usato industrialmente) colorato con clorofilla. Purtroppo non è un episodio isolato; più della metà delle irregolarità accertate riguarda l'aggiunta di oli resi commestibili con trattamenti illeciti.
A difesa degli oli di qualità, è entrato in vigore, da poco più di un anno, un nuovo Regolamento C.E.E. che, tramite analisi più sofisticate ed un maggior numero di parametri fissati, permette ora di individuare qualsiasi eventuale frode. E' stata inoltre introdotta l'analisi sensoriale: l'olio extravergine, assaggiato da un "Panel" di persone qualificate, iscritte all'Albo Nazionale degli Assaggiatori, deve, in una scala di punti da 1 a 9, superare il punteggio di 6,5 per poter essere considerato privo di difetti organolettici. Ciò dovrebbe anche consentire di verificare se un olio, per esempio messo in bottiglia in una zona chiamata ipoteticamente X, corrisponda effettivamente alle caratteristiche organolettiche tipiche della zona stessa; che non sia cioè olio di altre regioni (o nazioni), solamente imbottigliato nella zona X e quindi spacciato per tale.
Molti sono, quindi, i punti ancora da perfezionare, ma è anche vero che finalmente si sta uscendo dall'immobilità. Dovrebbero oramai essere pronte le prime D.O.C. (Denominazione di Origine Controllata), che probabilmente diventeranno D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta) e l'I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta).
Insomma, tutto questo fermento è sicuramente indice di una crescente richiesta di "olio buono e sano"; più della metà dell'olio annualmente consumato in Italia è, infatti, della categoria extravergine.
L'areale della pedemontana ha tutte le caratteristiche necessarie per produrre olio di qualità. Non è certamente fantascientifica l'idea di realizzare un Consorzio di tutela del prodotto, magari collegato ad una fase di imbottigliamento e confezionamento, che contribuisca a far conoscere il nostro olio, a valorizzarlo e ad adeguarne la commercializzazione.
Alcuni singoli produttori hanno già iniziato a vendere il loro extravergine ma nella maggior parte dei casi non esiste un olivicoltura da reddito. Si raccolgono le olive che poi vengono portate ai frantoi "par farse l'oio in casa" o al massimo regalarne qualche bottiglia agli amici.
I frantoi operanti nella nostra zona si trovano a Pove (uno) e a Marsan (due, di cui uno cooperativo).
La produzione locale è quindi abbastanza limitata ma sicuramente qualitativa: rientra praticamente tutta nella categoria extravergine e contiene mediamente lo 0,56 % di acidità, espressa come acido oleico; anche i perossidi sono veramente bassi: 7,5-8,5 (ricordiamo che il limite massimo previsto dalla legge è 20).
La richiesta di nuove olivicolture nella nostra zona è molto alta e rivolta a migliorare ancora di più la qualità. La mescolanza fra diverse varietà fornisce olio di maggior pregio e così alle vecchie cultivar, derivate prevalentemente dalle varietà "Frantoio" e "Leccino", se ne stanno aggiungendo parecchie di nuove selezionate nel nostro areale e nel veronese, quali "Moraiolo", "Casaliva", "Grignàn", "Pendolino" e "Canino".

Foto di Steve Buissinne da Pixabay
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