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D'estate, in alpeggio...
Questo articolo, scritto da Erasmo Gastaldello è stato pubblicato sulla rivista "Porthos" n° 15 - Autunno 2003 - curata da Sandro Sangiorgi.
Vengono "raccontate" ed approfondite le conoscenze del mondo degli alpeggi e delle malghe dell'Altopiano di Asiago.
Cari amici di Porthos,
in questo numero cercheremo di approfondire le conoscenze dell’interessante mondo degli alpeggi e delle malghe dell’Altopiano di Asiago, in provincia di Vicenza, un mondo fatto di sacrifici e di antiche tradizioni, ma anche di nuove importantissime strategie.
...Sono le otto del mattino di un settembre ancora caldo e soleggiato quando, pieni di entusiasmo, io con i miei block notes ed i miei appunti e Giampi con le sue macchine fotografiche e telecamere, ci avviamo con l’auto lasciandoci alle spalle la pianura ed incominciando a percorrere la strada che ci porta ad Asiago.
All’inizio, colline piene di olivi secolari si alternano a campi coltivati e poi, curva dopo curva, boschi di faggi e di abeti si mescolano a splendidi pascoli. Tra Tortima e Conco il paesaggio sottostante ci obbliga a fare una piccola sosta: il cielo è di un bellissimo colore turchese e la giornata particolarmente limpida ci permette di vedere i Colli Berici ed i Colli Euganei. Se passate da queste parti ed avete la fortuna di trovare una giornata come la nostra, con dei binocoli potrete vedere persino i campanili e la laguna di Venezia.
Ripartiamo appagati dallo spettacolo che la natura ancora una volta ci regala ed ecco, all’improvviso, una mandria di vacche Brune pascolare tranquille e beate. Notiamo il fumo che il loro fiato crea uscendo dalle larghe narici e così, increduli, diamo uno sguardo veloce al cruscotto che ci dice che la temperatura esterna è di appena 5 gradi.
Ma eccoci arrivati ad Asiago...
Asiago, cittadina situata a circa 1.000 metri di altitudine e rinomata per il turismo estivo ed invernale, è la località più famosa dell’Altopiano omonimo, chiamato anche Altopiano dei Sette Comuni. Il termine “sette comuni” risale ai “sette villaggi” fondati tra il 1000 ed il 1100 d.C. dai Cimbri, boscaioli bavaresi che si insediarono in queste zone ricche di aree da disboscare. La gente dell'Altopiano li chiamò "cimbri", adattando alla parlata locale la parola tedesca Zimberer, che significa appunto "boscaiolo". I Sette Comuni mantennero nel tempo la lingua, le tradizioni e le usanze del mondo germanico al punto che a tutt’oggi nel piccolo paesino di Luserna la lingua cimbra è ancora in uso.
Tutto intorno si estendono le splendide montagne, che furono teatro di cruenti conflitti durante la Grande Guerra e che oggi, gran parte delle quali è delimitata come “zona sacra” (il Monte Ortigara in primis). A ricordo dei caduti, ad Asiago c’è un imponente Ossario posto su un’altura a dominare la città e l’intero paesaggio montano.
Per gli appassionati di stelle, ecco gli osservatori astronomici, dei quali il primo è in funzione fin dal 1942 e dedicato a Galileo Galilei nel 300-mo anniversario della sua morte; e, per chi ama camminare, ci sono numerosissime passeggiate di ogni grado di difficoltà.
Asiago è sicuramente un luogo dove trascorrere piacevoli vacanze, ma per noi è soprattutto sinonimo di formaggio. A questa città si deve appunto il nome del formaggio Asiago, uno dei trenta formaggi D.O.P. italiani, oggi al quinto posto per volume di vendita nel nostro Paese e prodotto nelle versioni “pressato” (morbido e dolce, con più di 20 giorni di stagionatura) e “d’allevo” (pensato per la stagionatura, buono già a due o tre mesi, ottimo ad un anno e superlativo a due o più anni).
In questa zona è tuttora significativa la produzione estiva d’alpeggio. Per comprendere al meglio la situazione attuale ci siamo rivolti alla persona più competente ed innamorata del territorio: Gianbattista Rigoni Stern, tecnico agro forestale della Comunità Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni.
Abbiamo trascorso con Gianbattista tutta la giornata ed ora il mio compito è quello di rendervi partecipi del grande sapere scientifico e di tutta la passione per il proprio lavoro che lui ci ha regalato disinteressatamente.
Geograficamente, l’Altopiano dei Sette Comuni comprende un’area di 46.803 ettari ed è delimitato a Nord ed a Est dalla Valsugana, ad Ovest dalla Valdastico e a Sud dall’alta pianura vicentina, con un intervallo altimetrico che va dai 229 metri s.l.m della frazione Laverda (nel comune di Lusiana), ai 2.336 metri di Cima Dodici.
In questa zona ci sono ben 77 malghe comunali e sono tutte alpeggiate; di queste, in ben 36 si trasforma il latte in formaggio (31 utilizzano latte vaccino, da animali di più razze e 5 invece trasformano il latte di pecora, qui rappresentato da animali di razza Sarda e Massese), mentre nelle altre il latte vaccino viene consegnato ai caseifici dell’Altopiano ed anche della pedemontana.
Le malghe sono di proprietà collettiva e date in gestione ai Comuni, i quali le danno a loro volta in concessione, solitamente per un periodo di 6 anni, ai malghesi che si devono occupare dell’intera gestione degli animali, del territorio e della malga stessa.
Per tradizione secolare, l’alpeggio ha inizio nei primi giorni di giugno, variando in funzione dell’altitudine dei luoghi e termina il 21 settembre, San Matteo patrono del Comune di Asiago, ma quest’anno il periodo di permanenza è stato un pochino più lungo a causa del gran caldo.
All’atto della consegna della malga sono presenti i rappresentanti della Comunità Montana, quelli del Comune ed il malghese che effettuano un sopralluogo per stilare un verbale da sottoscrivere da tutte le tre parti interessate e che diventa testimonianza veritiera delle condizioni nelle quali viene consegnata la malga. Il regolamento, che prescrive in maniera dettagliata tutti i vari oneri ai quali il malghese deve sottostare, è stato perfezionato e fortemente voluto proprio da Gianbattista Rigoni Stern.
Nel verbale di consegna e riconsegna della malga, i lavori ordinari si suddividono in ben 9 tipologie che vi voglio elencare a testimonianza della serietà di questa operazione:
1. Taglio erbe infestanti prima della fioritura.
2. Recinzione, ripristino delle chiudende.
3. Distribuzione letame.
4. Pulizia e tinteggiatura dei locali di abitazione e di lavorazione.
5. Pulizia stalla, impianti di mungitura e concimaie.
6. Corretto accumulo e smaltimento dei RSU.
7. Pulizia cisterne e filtri; messa in efficienza degli impianti di accumulo e di distribuzione dell’acqua.
8. Controllo efficienza griglie e sbarre di limitazione al traffico.
9. Pulizia canalette sgrondo acque meteoriche.
Per ognuno di questi punti è prevista una descrizione particolareggiata comprendente anche la stima delle ore e dell’importo necessari per la loro corretta attuazione.
Oltre ai punti sopraelencati, è prevista poi una sezione dedicata alla descrizione particolareggiata dei lavori straordinari.
Se, alla riconsegna della malga, il malghese non dovesse avere adempiuto agli obblighi sottoscritti, i relativi importi verranno detratti dalla cauzione depositata dallo stesso a favore del Comune alla firma del contratto di concessione.
Ma la novità importantissima che Gianbattista è riuscito ad introdurre fin dallo scorso anno riguarda la gestione dei mangimi, dati come integratori alimentari alle vacche: la quantità giornaliera di mangime presente nell’alimentazione sarà il frutto di un’attenta valutazione alla quale concorrono l’altitudine del pascolo, la sua pendenza e percorribilità, la qualità dell’erba, la produttività dei pascoli e l’esigenza delle vacche in relazione alla produzione lattiera quotidiana, che varia di solito durante l’alpeggio in maniera decrescente. Tutti questi dati vengono elaborati attraverso un programma informatico messo a punto in collaborazione col Prof. Giulio Cozzi del Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università di Padova ed il risultato che ne esce fornirà la dose di mangime espressa in chilogrammi a capo per giorno e che comunque (questo è il dato straordinario su cui verte l’intero sistema) non potrà più superare il tetto massimo del 20% del fabbisogno quotidiano della bovina.
Per riuscire a tenere sotto controllo questo aspetto si utilizzano due parametri:
1) la verifica dei consumi totali di mangime in base al numero di vacche alpeggiate, alla loro razza e alla loro produttività mediante il resoconto delle fatture;
2) controlli mirati sul posto durante la somministrazione dei mangimi.
Questo secondo controllo, sicuramente più preciso, è possibile e credibile perché in questa area le vacche non rientrano di notte negli stalloni, ma rimangono sempre all’aperto. L’unico momento in cui le vacche si trovano all’interno degli stalloni e possono quindi ricevere le dosi di mangime è quello in cui si sta svolgendo la mungitura.
Il tetto massimo fissato per la dose di mangimi ha un effetto a cascata ai fini della miglioria qualitativa del formaggio qui prodotto, innanzitutto, perché si salvaguardano i pascoli (primo anello importantissimo di questa catena) in quanto sono le vacche a mantenere il pascolo.
Alla fine dell’alpeggio, infatti, ogni pascolo dovrebbe assomigliare al prato di un campo da golf, con la conseguente avvenuta tutela della biodiversità del pascolo stesso. Si consideri che nei pascoli montani convivono mediamente dalle 50 alle 80 specie erbacee diverse e per la loro conservazione è assolutamente importante che tutte vengano mangiate altrimenti le specie rifiutate dall’animale crescono e diffondono il loro seme impossessandosi, anno dopo anno, sempre più del pascolo. Ecco perché poi vengono chiamate anche “infestanti”.
Perché l’animale abbia voglia di mangiare tutta l’erba a sua disposizione è necessario che al momento di andare al pascolo abbia una certa fame; una dose eccessiva di mangime somministrata durante la fase di mungitura crea già in partenza un senso di sazietà alla vacca che quindi, una volta al pascolo, andrà a nutrirsi esclusivamente con i tipi di erba da lei preferiti, o perché sono più gustosi o perché sono più teneri, creando così uno scompenso all’ecosistema pascolo.
Altro fattore da non sottovalutare è la pigrizia delle vacche che tendono a rimanere nelle vicinanze della stalla; mangiando solo in quell’area e “scaricando” deiezioni solo in quell’area apportano dosi eccessive di azoto che favoriscono inevitabilmente le piante infestanti, come le ortiche ed il romice in primis. Per contrastare queste abitudini nelle vacche, occorrono un buon numero di persone che si occupino di “accompagnare” gli animali a pascolare anche nelle aree più lontane.
Determinante, quindi, diventa la gestione del pascolo da parte del malghese che dovrà organizzare tutta l’attività dell’alpeggio, in particolare la salvaguardia dei pascoli e della loro biodiversità, cardine fondamentale per un corretto equilibrio dell’ecosistema.
Ho quindi chiesto a Gianbattista come il tetto massimo del 20% di mangimi somministrati quotidianamente agli animali possa influire anche sulla scelta delle razze di vacche da privilegiare per l’attività dell’alpeggio. Ecco cosa ci ha risposto: “Negli ultimi decenni si sono diffuse sempre di più vacche con enormi capacità produttive, sostituendo pertanto gli animali autoctoni, come ad esempio le vacche Burline. Oggi, quindi, gli animali che vedete pascolare sono soprattutto di razza Frisona, meglio conosciuta come Pezzata Nera, oppure di razza Bruna che oramai, a causa delle continue selezioni genetiche in atto, possiamo considerare come una specie di Pezzata Nera travestita. Queste vacche sono in grado di fornire dai 25 ai 30 Kg di latte al giorno e se dovessero assorbire l’energia necessaria esclusivamente dal pascolo dovrebbero ingerire all’incirca un quintale e mezzo di erba che però non ci starebbe nel rumine. Ecco che allora fino all’anno scorso si sopperiva con l’integrazione alimentare fornita da mangimi in quantità molto generose, al punto che queste vacche oramai salivano in alpeggio quasi solamente per “cambiare aria” e non certo per cambiare alimentazione.
Abbassando quindi la quota di mangimi concessi, si fissa anche un limite “naturale” alle razze molto produttive. Le vacche di queste razze, infatti, vanno incontro ad un deperimento fisico preoccupante, con l’insorgenza di acetosi, di dimagrimenti eccessivi e arrivando persino a rischiare la vita.”
Mi sorge spontaneo chiedere se è utopistico pensare di assistere ad un ritorno alle “vecchie” razze, oppure rimane solo una nostra speranza?
“Penso che ne vedremo delle belle, l’effetto a cascata si è già innescato. Ad esempio, già dallo scorso anno i gestori di Malga Pusterle, nel loro allevamento in pianura, hanno sostituito venti vacche di razza Frisona con altrettante manze di razza Grigia Alpina, senza dubbio più rustica e quindi più votata ad affrontare l’alpeggio di quest’anno.
Sono inoltre già in atto altre sostituzioni di Brune con Pezzate Rosse, con Rendene e con Grigio Alpine, razze che riescono a soddisfare le loro esigenze energetiche quasi esclusivamente con l’erba.
In definitiva, mi sento di sostenere che non è necessario pensare esclusivamente ad una razza, che per il nostro territorio vedrebbe la Burlina più attaccata alle radici storiche.
Per ottenere un latte e quindi un formaggio di qualità possiamo tranquillamente pensare a vacche di più razze, a condizione che siano comunque tutte razze non ipersfruttate e “costruite” per produzioni lattifere mostruose, insomma che si cerchi il più possibile di rispettare la natura .”
Domando, quindi, c’è un sostanziale bisogno di ritorno al passato?
“Non sono solamente questi aspetti a farci desiderare sempre di più un riequilibrio esistenziale, ma per restare nel nostro ambito direi senz’altro di sì. Non è nemmeno assodato che le razze che chiamiamo più produttive siano anche più redditizie, quando queste sono allevate in montagna e portate in alpeggio. Vacche come le Frisone, ad esempio, a fronte di grosse produzioni di latte, vanno incontro ad una vita senza dubbio più breve ed abbisognano di maggiori cure che si traducono inevitabilmente anche in maggiori costi per l’allevatore.”
La tradizione dell’alpeggio, infatti, nasce molti secoli fa anche per l’esigenza di abbassare i costi: portando le vacche in montagna gli allevatori potevano dedicarsi maggiormente alla cura dei prati per la fienagione e delle coltivazioni di pianura. Inoltre, le vacche in alpeggio erano “quasi” autosufficienti e c’era quindi anche meno bisogno di personale.
Sicuramente oggi, con gli animali stipati nelle stalle e ingozzati di mangime, queste esigenze di salvaguardia dei pascoli sono venute meno, ma allora quali sono le motivazioni che ancora spingono alcuni allevatori a continuare la pratica dell’alpeggio?
Lo chiedo a Gianbattista, il quale non ha dubbi: “Sicuramente, oltre alla tradizione che per fortuna continua ad essere ancora ben presente, c’è la motivazione economica. Non dimentichiamoci che in un alpeggio ben gestito e ben organizzato, il latte di alta qualità che ne deriva, se trasformato in formaggio vale più del doppio di quello ottenuto nelle stalle di pianura. Esiste quindi un risultato economico certo che si incrementa poi anche con il formaggio finito e stagionato venduto direttamente agli appassionati buongustai o consumato sul posto dai turisti amanti della natura e della buona tavola.”
Chiedo infine a Gianbattista Rigoni Stern, come giudica la qualità del formaggio prodotto in malga?
“Sicuramente ci troviamo di fronte ad un prodotto di pregio che ha nella sua straordinaria bontà anche il rischio di una lieve incostanza, aspetto molte volte legato anche al fatto che non abbiamo più una scuola per casari in tutto il Veneto, a danno dei giovani che vogliono intraprendere questa attività.”
Gianbattista, è davvero innamorato di questa realtà e perfettamente conscio dell’importanza che questa economia riveste per la salvaguardia del territorio. Concordo con lui, anche se devo sottolineare che in effetti non tutto il formaggio prodotto in malga è davvero buono, ma vedo questo aspetto come un ulteriore garanzia di genuinità. Quest’anno poi, a causa del caldo eccessivo, i casari hanno avuto parecchie difficoltà nella lavorazione ed alcune forme si sono subito rovinate a causa di fermentazioni anomale.
Sicuramente però esiste la voglia di produrre bene e di salvaguardare la tipicità e la territorialità del prodotto perché tutta la trasformazione avviene a latte crudo e non raffreddato ed il lattoinnesto che si aggiunge è prodotto sul luogo e quindi con lo stesso latte.
Del resto, se ci trovassimo di fronte ad un prodotto sempre perfettamente uguale, staremmo parlando di altre realtà produttive e di prodotti senz’anima, insomma, di realtà che noi di Porthos non amiamo particolarmente, giusto?
Certamente Gianbattista Gianbattista Rigoni Stern punta il dito sulla piaga quando parla della scuola per casari che effettivamente ci manca, sopratutto se consideriamo che il comparto non vivrebbe neanche tanto la problematica del ricambio generazionale perché molti giovani si stanno innamorando di questo mondo e di questi prodotti ed il contesto sociale che si è venuto a creare negli ultimi anni attorno alle produzioni casearie ha finalmente riconsegnato la giusta dignità a queste straordinarie persone e professioni.
Certamente l’alpeggio ha ragione di esistere, anzi ne ha molte più di una e la prima persona a credere in questo concetto è sicuramente Gianbattista che, già nel 1993, sosteneva nella sua relazione intitolata “Le malghe come ecosistema antropizzato e come contesto socioeconomico moderno” che l’alpeggio costituisce un ottimo esempio di politica agraria su basi ecologiche. Oggi, a 10 anni di distanza Gianbattista continua a battersi per questi valori che lui ha nel suo patrimonio genetico e lo sta facendo nel migliore dei modi. Altre comunità montane e vari enti lo contattano continuamente e stanno prendendo ad esempio quello che lui ed i suoi collaboratori sono riusciti a costruire nell’Altopiano di Asiago.
Avere il privilegio di conoscerlo di persona mi riempie di fiducia, è una sorta di gigante buono innamorato di sani principi e valori dei quali la società moderna ha assoluto bisogno. Non ci resta che augurargli un futuro ricco di successi dei quali tutti noi (e le nostre papille gustative) gioiremo in futuro.
...Si è fatto tardi, il sole sta tramontando all’orizzonte ed in controluce i profili delle montagne assumono delle forme stilizzate. Le vacche stanno ancora pascolando e tra poche ore regaleranno il loro prezioso latte al casaro che lo metterà a riposare per tutta la notte. Al risveglio, dopo averlo scremato lo aggiungerà al latte del mattino e darà inizio ad una nuova produzione...