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Il Cacio Pecorino delle Crete Senesi

Il Cacio Pecorino delle Crete Senesi


La D.O.C. del formaggio Pecorino Toscano, datata 17/5/1986 e trasformatasi successivamente in D.O.P., ne stabilisce la produzione con latte di pecora, crudo o pastorizzato, in tutta la Toscana ed in una piccola parte dell'Umbria e del Lazio. La vastità dell'area di produzione, però, da luogo a formaggi che differiscono moltissimo tra loro anche se appartenenti alla stessa Denominazione di Origine. Il Cacio Pecorino delle Crete Senesi, tuttavia, è riuscito nel tempo a ricavarsi uno spazio distintivo, grazie in particolare ad alcuni elementi positivi che lo caratterizzano, quali il profumo, la pastosità ed il sapore.

Le Crete Senesi sono un grande bacino argilloso situato nella parte meridionale della provincia di Siena e comprendente 10 comuni: Pienza, Montepulciano, Monteroni d'Arbia, San Giovanni d'Asso, Trequanda, Castiglione d'Orcia, Radicofani, Siena, Torrita di Siena e Rapolano, nomi, questi, che evocano anche ottimi vini.
Quest'area è in parte ricoperta da uno strato sottile di sabbie gialle, i cosiddetti tufi o “terra di Siena”, che si depositarono durante una fase intermedia del sollevamento di questi territori dal mare. A contribuire all'aspetto arido delle Crete Senesi sono anche la scarsa piovosità e la temperatura sempre piuttosto elevata, peculiarità che sembrano già ripetersi quest’anno in maniera ancora più esasperata.

Ciò ha favorito lo sviluppo di piante, arbusti ed erbe particolari, capaci di aromatizzare notevolmente il latte ottenibile dalle pecore che se ne cibano. Esperti botanici hanno contato più di 30 tipi di flora pratense spontanea, tra cui la barba di becco, l'assenzio, la serpentina, l'avena selvatica, il ginestrino, il trifoglio giallo delle sabbie, la finocchiella, il radicchio selvatico, la santoreggia, il timo e il ginepro, solo per citarne alcune.

Originariamente, in queste zone, vivevano esclusivamente pecore “senesi” e “valdorciane”, ma dal 1960, il flusso migratorio di pastori con le loro greggi proveniente dalla Sardegna, ha dato una svolta decisiva e attualmente, le pecore presenti appartengono al 94 % alla razza “sarda”. L'arrivo dei pastori sardi ha permesso di fondere tecniche, tradizioni e, soprattutto, di dare origine ad alcune forme di collaborazione al fine di riuscire a ridurre l'eccessiva parcellizzazione e discontinuità di caratteri del formaggio, prodotto fino ad allora in una miriade di piccolissimi laboratori semidomestici che non potevano garantire la costanza necessaria per raggiungere un successo commerciale anche fuori regione.

Nella sua versione storica, il Cacio Pecorino delle Crete Senesi veniva prodotto soprattutto in primavera, quando i pascoli sono ricchi di germogli teneri e molto profumati di cui le pecore sono ghiotte, ed il latte, rigorosamente crudo, veniva fatto coagulare con gli stami del carciofo selvatico (Cynara cardunculus o cardo), fatti macerare con aceto e sale; questa tecnica oggi è stata quasi del tutto abbandonata perché, oltre ad essere molto più laboriosa, permette di ottenere meno prodotto e spesso anche qualitativamente incostante. La conseguenza, quindi, è stata lasciare sempre più spazio all’utilizzo di latte pastorizzato e al caglio di vitello.

Un altro aspetto caratterizzante per questo formaggio è la successiva fase, detta di "fregatura", che consiste nell'eliminare il siero dalla cagliata posta negli stampi continuando a pasticciare e a comprimere il coagulo con le mani, anziché pressarlo meccanicamente. Dopo la fase di stagionatura che si protrae per alcuni mesi, questo formaggio si presenta con crosta scura e rugosa, mentre la pasta interna è piuttosto bianca, friabile, con profumi ricchi di note animali e di pascolo che sconfinano in decise note di erbe aromatiche. Al palato è asciutto, tende a sbriciolarsi sprigionando sensazioni tattili leggermente astringenti e terminando poi con una persistenza che riporta la bocca verso sensazioni piuttosto dolci, caratteristiche del latte di pecora.

Infine, una curiosità storica: il nome cacio che i toscani continuano ad usare è la più significativa testimonianza dell’antichità della presenza del formaggio sulle loro tavole; infatti, deriva dal latino “caseus”, successivamente sostituito quasi in tutta Italia dal termine “formaticum”, risalente invece all’epoca medioevale.

Questo articolo, scritto da Erasmo Gastaldello è stato pubblicato sul "Giornale di Vicenza" - giugno 2007 - nella rubrica curata dal Servizio Fitopatologico della Provincia di Vicenza.

Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay
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