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La ricotta, il formaggio “non” formaggio

La ricotta, il formaggio “non” formaggio

Con l’arrivo della bella stagione anche la nostra alimentazione abbandona piatti più complessi e nutrienti e si sposta volentieri verso piatti più semplici, leggeri e meno calorici; la ricotta ha molte delle caratteristiche richieste da queste tendenze stagionali, oltre che estetico-salutistiche.

È prassi assodata considerare la ricotta un formaggio, anche se in realtà si tratta di un prodotto che non appartiene alla stessa categoria; il regio decreto italiano del 1925, ripreso e amplificato poi durante la Commissione del Codex Alimentarius svoltosi a Montevideo, nel 1998 recita: “Il formaggio è il prodotto della maturazione della cagliata, ottenuta dalla coagulazione presamica, acida o acido-presamica, del latte intero o scremato (totalmente o parzialmente), o della crema di latte, con o senza aggiunta di fermenti, di coloranti e di sale, sufficientemente liberato dal siero.” Proprio l’eliminazione del siero, dunque, contraddistingue il comparto dei formaggi da quello dei latticini o derivati al quale appartiene la ricotta che non si ottiene dal latte, bensì dalla ricottura del siero dopo avere concluso la fase di produzione del formaggio.

Oggi la ricotta vanta un mercato davvero significativo e recenti indagini la classificano come il prodotto caseario maggiormente presente nella lista della spesa, tanto da comparire sulle tavole di ben tre italiani su quattro, con un indice di penetrazione nei consumi delle famiglie del 76% (Dati Ismea - Ac Nielsen). Nel nostro territorio, il tipo di ricotta più consumato è senza dubbio quello ottenuto da latte vaccino, ma negli ultimi anni, grazie anche alla nascita di interessanti realtà produttive (piccoli caseifici, aziende agricole e agriturismi), si è assistito ad un notevole incremento dei consumi anche di quelle ottenute da latte ovino e caprino. Inoltre, oggi possiamo gustare anche la ricotta di bufala prodotta in Campania che proprio ora è in fase di ottenimento della Denominazione di Origine Protetta, con un disciplinare che la collega alla stessa area di produzione della mozzarella di bufala campana D.O.P.

Fino ad ora, c’è una sola ricotta ad avere ottenuto la D.O.P.: si tratta di quella Romana, ottenuta dal latte di pecora e citata addirittura nell’antichità da Marco Porzio Catone. Già allora esistevano delle norme riguardanti l’arte della pastorizia dell’antica Roma che stabilivano per il latte di pecora tre diversi utilizzi: quello religioso (come bevanda), quello caseario (con la trasformazione in pecorini) e quello residuale (riutilizzo del siero per la produzione della ricotta); anche il nome, ricotta, deriva dal latino “recoctus”, con chiaro riferimento alla ricottura.

Oggi, le grandi aziende hanno chiaramente investito molto su questo prodotto “povero”, spesso anche modificandone le proprietà intrinseche con l’aggiunta di latte o panna per rendere il prodotto più accattivante (sapore più ricco, maggiore dolcezza e ottima palatabilità) anche se meno leggero, aggiungendo conservanti per ovviare all’elevata deperibilità ed esasperando la ricerca del packaging e della comunicazione. Chiaramente io preferisco di gran lunga una ricotta di tipo “tradizionale”, magari un pochino più semplice e meno “elegante”, ma entusiasmante proprio per la sua delicatezza, molto ricca di proteine e con pochissimi grassi; va infatti ricordato che nella produzione casearia i grassi si trasferiscono dal latte al formaggio mentre nel siero rimangono moltissime proteine e residui zuccherini.

Durante l’estate sono sicuramente da provare anche le ricotte prodotte nelle malghe delle nostre montagne nella versione classica e in quella affumicata, magari condite con un filo di ottimo olio extravergine di oliva della nostra Pedemontana e dei nostri Colli Berici.

Questo articolo, scritto da Erasmo Gastaldello è stato pubblicato sul "Giornale di Vicenza" - maggio 2008 - nella rubrica curata dal Servizio Fitopatologico della Provincia di Vicenza.
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