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Il Feta D.O.P.

Il Formaggio Feta D.O.P.

Dopo l’approfondimento sui due prodotti caseari più vicini a noi, Ricotta e Tosella, proseguiamo il nostro “viaggio” scegliendo un prodotto più lontano ma con alcune caratteristiche che lo accomunano ai precedenti: il colore bianco candido e il concetto di freschezza (nonostante, invece, si tratti di un formaggio stagionato per mesi) legato sia al tipo di utilizzo, sia al periodo di maggiore consumo sulle nostre tavole, cioè l’estate.

Come per i prodotti precedenti, anche per il formaggio Feta c’è spesso l’abitudine a definirlo “al femminile”, dovuta in particolare all’associazione Feta – fetta, peraltro non del tutto errata. Si ritiene, infatti, che il nome “Feta” derivi proprio dal termine italiano “fetta”, introdotto in Grecia nel XVII° Secolo e riferito all’abitudine della gente del posto di tagliare in fette i blocchi di formaggio per riporle poi per la particolare stagionatura nei barili di legno sotto salamoia.

In alcuni testi dell’Impero Bizantino, invece, si cita questo formaggio con quello che probabilmente era il suo nome originario: πρόσφατος = prósphatos (recente, fresco).
Ci sono numerose dispute in atto circa le origini geografiche del Feta, ma certamente tutte riconducono all’antica Grecia (del resto, probabile luogo natio dell’arte casearia), dove i pastori nomadi si dedicavano alla lavorazione di questo prodotto (una sorta di cagliata conservata sotto siero o salamoia), con latte di pecora e a volte un po’ di latte di capra per far fronte alla scarsità di materia prima disponibile in quei tempi.
Proprio il nomadismo ha consentito poi nei secoli di potere ritrovare del formaggio simile per lavorazione anche in Macedonia, in Turchia, in Bulgaria, dove però questo prodotto viene spesso identificato con il nome di “White Cheese” (formaggio bianco).

Il Feta greco, quindi, forte delle sue origini, ha ottenuto alcuni anni fa la D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta) che ha però avuto numerose vicissitudini: Francia, Danimarca e Germania, infatti, sono grandissimi produttori di “finto Feta” lavorato con latte pastorizzato di vacca. Questi colossi dell’economia, non avrebbero più potuto chiamare Feta il loro formaggio e si sono quindi battuti a lungo fino a riuscire a fare sospendere la D.O.P. sostenendo a loro difesa, tra le altre cose, che in realtà non era certa l’origine geografica del Feta.

Finalmente, dal 2005, una sentenza europea che mi auguro sia definitiva, riconosce le origini storiche e geografiche del Feta greco e gli assegna definitivamente la D.O.P., lasciando comunque alle altre nazioni un periodo di ulteriori 5 anni per trovare un nome diverso da dare alle loro imitazioni. Al consumatore, quindi, che voglia acquistare il vero Feta consiglio sempre di prestare attenzione agli ingredienti riportati sull’etichetta (perché sempre più spesso lo si trova confezionato) e al luogo di produzione. Se fatto in Grecia e con la D.O.P., non avrà mai il latte vaccino perché in questo caso i greci chiameranno il formaggio con un altro nome: “Telemes”.

Il buon Feta D.O.P. ha una pasta compatta ma friabile, dal colore bianco intenso, con un profumo “salino” dovuto alla lunga permanenza in salamoia. In bocca la sensazione è ricca e suadente, con note salate ben presenti ma che non devono essere troppo aggressive ed un sapore persistente che ben si sposa con insalata, pomodoro, cipolla e olive Kalamata nella preparazione di una classica insalata greca. Provate anche a sbriciolarlo dentro ad una melanzana o ad un peperone che poi passerete in forno a gratinare o, infine, su una buona pastasciutta con pomodorini a pezzettoni e olive Kalamata, sposando così un prodotto “lontano” alla nostra tradizione.

Questo articolo, scritto da Erasmo Gastaldello è stato pubblicato sul "Giornale di Vicenza" - luglio 2008 - nella rubrica curata dal Servizio Fitopatologico della Provincia di Vicenza.
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