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Il Vezzena e l’Asiago… nel 1971 - parte 3
Il Vezzena e l’Asiago… nel 1971 - parte 3
Ci avviamo, con questa terza parte, a concludere la nostra piccola e curiosa analisi “storico – ambientale – sociale” che riguarda i nostri amati formaggi e che prende spunto da quanto scritto da Giuseppe Maffioli nel libro “GUIDA AI FORMAGGI D’ITALIA” del 1971 (vedi parte 1 e 2 già pubblicate).
Nella prima parte abbiamo visto quale fosse la collocazione geografica delle produzioni più pregiate e l’attenzione alla qualità dei pascoli e del latte di partenza, mentre nella seconda parte abbiamo potuto apprezzare il valore sociale dello “stare in malga”, l’amore e la cura riservati ad ogni dettaglio produttivo – senza mai un accenno negativo al tempo necessario per produrre ed “allevare” il formaggio in maniera eccelsa – ed uno spaccato veloce su tutte le fasi di produzione affinché possiamo mettere a fuoco che cosa succede quando si fa il formaggio in malga.
Ma, continuando la lettura poetica che il Maffioli ci consegna e che vi auguro di potere prima o poi approfondire, balza subito agli occhi un aspetto che pensavamo inesistente all’epoca: mentre lo scrittore inizia il suo dialogo con il malgaro, costui sta mescolando delicatamente la cagliata nella caldaia per mantenerla in sospensione; poi, al momento di raccoglierla, arrivano alcuni ragazzi ad aiutarlo “…tre ragazzi fatti venire apposta da una scuola agricola di non so quale cittadina della Sardegna. Sono bravi e si danno da fare, qui non c’è più chi voglia fare il mandriano…” Una testimonianza che ci conferma di come la crisi di manodopera in malga risalga addirittura a più di quarant’anni fa. Ovviamente, già allora, un lavoro così di sacrificio metteva in fuga i giovani che sognavano prospettive di vita migliori; erano gli anni del boom economico… auto, case, lavori d’ufficio, ecc… e così, via via, oggi in quasi tutte le malghe in attività troviamo il casaro attorniato da adulti di altre nazioni, niente di male, ovvio, ma risulta perlomeno “curioso” poi parlare di autenticità e tipicità in contesti invece sempre più globalizzati.
Curioso è anche notare come, in alcune nazioni (Irlanda e Inghilterra in primis) si stia invece assistendo ad una controtendenza in questo campo: continuano a sorgere delle micro aziende agricole dove giovani tra i 25 e i 40 anni decidono di “rifugiarsi” abbandonando lavori prima sognati per ritrovare così un’esistenza più tranquilla e serena. Eppure, tornando alla nostra Malga Posellaro dove Maffioli si ferma per l’incontro con il malgaro, tra le righe leggiamo una cronaca di un’esistenza speciale e consapevole. Il malgaro mostra con orgoglio la pagella del figlio e dice “…tutti sette e otto… non perché è mio figlio, ma ha la testa fina… studierà, ma intanto mi aiuta con le vacche e poi verrà anche mio fratello.” E ancora “…In fondo si sta bene qui. È una vacanza. Io ho un’azienda agricola, giù ad Asiago, ma d’estate vengo su, a Vezzena, anche con le mucche degli altri…” È un lavoro che mi da soddisfazione perché il mio formaggio è fra i più stimati… Ogni casaro ha la sua mano e chi vuol fare questo mestiere deve capire l’andamento e il maturarsi del latte. Fare il casaro è insomma una vera e propria arte; non basta la scuola, ci vuole la sensibilità adatta, il saper individuare tante piccole sfumature che nessuna scuola al mondo potrà mai insegnarti. Il risultato eccezionale sta proprio nel saper valutare tante piccole cose che sembrerebbero senza valore e invece ti fanno raggiungere la perfezione…”.
Queste righe, a mio avviso, ci raccontano di quale immenso patrimonio possano ancora godere i nostri sensi: ancora oggi, infatti, il formaggio di elevata qualità è garante di aspetti che nessun macchinario potrà mai replicare; ai tempi in cui Maffioli ha scritto il suo libro, il casaro al mattino, come prima cosa, voleva sapere dove aveva pascolato la vacca. Oggi non sarà magari forse più esattamente così; tecniche, igiene e conoscenza non possono che giovare alla tradizione, ma comunque il formaggio “vero” sarà sempre legato ad un’estrema artigianalità, al rispetto per la materia prima e ad una buona dose di sensibilità umana. Certo, il percorso è impegnativo perché ad essere messi in discussione siamo tutti noi. Dobbiamo essere curiosi di sapere, dobbiamo fare di tutto per non perdere il contatto con la tradizione autentica perché, nel bagaglio per i nostri figli è una cosa importante da mettere.
Buona degustazione!